In questa occasione il nostro iscritto e docente Elvezio Montesarchio ci invia alcune pagine da lui scelte, come scrive egli stesso, per “un momento individuale di riflessione, sperando in un futuro incontro e momento comune di narrazione dei fatti e di riflessione “
Volentieri ve le trasmetto, ringraziandolo a nome di tutti quanti noi, per il suo prezioso contributo.
Mara Ferretti
L’incontro con Elvezio MONTESARCHIO si tiene Lunedì 31 Gennaio presso la sede di Rosignano Marittimo alle 16:30
Qui sotto potete fare il Download delle letture che il Prof. Elvezio MONTESARCHIO ha fatto durante l’incontro
Download Lettura Prof. Elvezio MONTESARCHIO
27 gennaio 2022 GIORNO DELLA MEMORIA
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”
Primo Levi
Legge 20 luglio 2000 n. 211 istitutiva del “Giorno della Memoria” Dichiarazione di apertura al Processo di Norimberga del 1945 – 1946
Testimonianze di sopravvissuti alla deportazione, alla persecuzione, allo sterminio:
Primo Levi (“La tregua”, “Se questo è un uomo”)
Liliana Segre (“Sopravvissuta ad Auschwitz”)
Simon Wiesenthal (“Gli assassini sono tra noi”)
Elie Wiesel (“La notte”)
Shlomo Venezia (“Sonderkommando Auschwitz”)
a cura di Elvezio Montesarchio
per un “momento comune di narrazione dei fatti e di riflessione”
“GIORNO DELLA MEMORIA”
Legge 20 luglio 2000, n. 211
Art. 1.
1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Art. 2.
1. In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo nella storia del nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere
IL PROCESSO DI NORIMBERGA
Dichiarazione d’apertura di Robert H. Jackson
“Signori della Corte,
Il privilegio di dare inizio al primo processo della storia a carico dei delitti internazionali contro la pace, costituisce una grave responsabilità.
I delitti che noi vogliamo punire sono stati talmente calcolati, efferati e terribili che la civiltà non può assolutamente ignorarli,
perché non sopravvivrebbe ad una loro ripetizione.
Le quattro nazioni vincitrici, tuttavia, trattengono la loro ira
e, volontariamente, sottomettono i loro nemici al giudizio della legge: io credo che questo fatto sia uno dei più grandi segni di omaggio che la forza abbia mai tributato alla ragione.
Voi, signori della Corte, potete in piena coscienza
decidere quel che io vi chiederò di decidere, anche se dobbiamo lasciare alla storia il compito di perfezionare e completare le accuse dell’umanità contro il nazismo.
Sfortunatamente, la natura dei delitti è tale che
sia gli accusatori che i giudici devono appartenere a nazioni vincitrici, mentre gli imputati sono dei nemici vinti.
La vastità delle aggressioni naziste ha fatto sì che
è necessario che i vincitori giudichino i vinti,
se non si vuole lasciare che i vinti giudichino se stessi. Dopo la Prima Guerra Mondiale abbiamo constatato quanto questa seconda alternativa sia futile e ridicola. Tocca dunque a noi distinguere con sicurezza,
con tutta l’esattezza che è possibile su questa terra, tra le ineludibili esigenze della giustizia
e il grido di vendetta che si alza da decine di popoli martirizzati.
Dobbiamo pertanto accingerci a questo processo con tanto distacco e con tale integrità intellettuale che esso possa rappresentare nella storia
il compimento dell’aspirazione dell’umanità verso la giustizia.”
“Verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945”
La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945.
Fummo Charles ed io i primi a scorgerla:
stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Sòmogyi il primo dei morti fra i nostri compagni di camera.
Rovesciammo la barella sulla neve corrotta, ché la fossa era ormai piena, ed altra sepoltura non si dava:
Charles si tolse il berretto, a salutare i vivi e i morti.
A me dispiacque di non avere berretto.
Erano quattro giovani soldati a cavallo,
che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo.
Quando giunsero ai reticolati sostarono a guardare, volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo
sui cadaveri scomposti,
sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi.
A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi … sui loro enormi cavalli,
fra il grigio della neve e il grigio del cielo,
immobili
sotto le folate di vento umido …
… da dieci giorni ci aggiravamo … in un nulla pieno di morte:
quattro uomini armati,
ma non armati contro di noi;
quattro messaggeri di pace …
“LA TREGUA” (Primo Levi)
IL VIAGGIO VERSO AUSCHWITZ DI LILIANA SEGRE
“Io, Liliana Segre, ero una bambina di 13 anni,
già da 40 giorni nel carcere di S. Vittore a Milano, insieme a mio papà, quando un pomeriggio entrò un tedesco
e lesse un elenco di più di 600 nomi, fra i quali il nostro.
Ci dovevamo preparare a partire “per ignota destinazione”.
La mattina del 30 gennaio 1944 attraversammo un raggio di detenuti comuni che, vedendo questa tragica fila di persone,
ci dettero un viatico umano meraviglioso:
ci buttarono un pezzo di pane, una tavoletta di cioccolato, un’arancia,
ma, soprattutto, ci dissero “Vi vogliamo bene, non avete fatto niente di male “. Io li ricordo sempre con vera gratitudine.
Qualunque cosa avessero fatto nella loro vita, erano uomini.
Poi non ne incontrammo più, perché incontrammo solo mostri.
Ci portarono su camion nei sotterranei della Stazione Centrale di Milano, e fummo caricati, al binario 21, su vagoni bestiame
tra percosse, urla, latrati di cani.
Eravamo 605 persone, siamo tornati in 20.
La maggior parte sono morti, appena arrivati, nelle camere a gas.
Durante il viaggio, durato sette giorni, c’è stato un periodo di pianti.
Pianti di tutti: non solo dei bambini, che non si potevano muovere, ma di tutti. Pianti che avrebbero dovuto arrivare al cielo, invece non sono arrivati al cielo.
Poi c’è stato un periodo di preghiere:
gli uomini pii pregavano, lodavano Dio, in quella situazione,
anche per noi che non sapevamo pregare.
Negli ultimi due giorni nessuno ha più pianto e nessuno ha più pregato.
Il treno andava, andava, andava …e c’era un silenzio tremendo,
un silenzio delle ultime cose, di quando si sta proprio per morire e non si parla più, non c’è più niente da dire,
si stringe la mano della persona che ami e non ci sono più parole.
Infatti non c’era più niente da dire: era AUSCHWITZ.”
“Sopravvissuta ad Auschwitz” (Liliana Segre)
LA CACCIA AI CRIMINALI NAZISTI
Simon Wiesenthal (“Gli assassini sono tra noi”)
Simon Wiesenthal nacque il 31 dicembre del 1908 in Polonia. Suo padre fu ucciso durante la Prima Guerra Mondiale.
Subì le restrizioni razziali imposte agli studenti ebrei.
Fu deportato con la sua famiglia nel 1942 nel campo di Janwska.
Alla fine del 1942, dopo la decisione della gerarchia nazista di attivare la “SOLUZIONE FINALE”,
98 membri della famiglia di Wiesenthal erano morti.
Riuscì a evadere nell’ottobre del ’43 dal campo di Ostbahn
poco prima che i tedeschi uccidessero tutti i prigionieri in una rappresaglia.
A giugno del ’44 fu di nuovo catturato e portato a Janwska, dove sarebbe senz’altro morto se l’avanzata dell’Armata Rossa non avesse causato la capitolazione dell’esercito tedesco.
Con 34 prigionieri dei 149.000 iniziali partecipò alla ritirata generale verso ovest.
Wiesenthal era vivo a stento quando fu liberato a Mauthausen da un’unità americana il 5 maggio del 1945.
Appena si fu sufficientemente ristabilito,
Wiesenthal cominciò a raccogliere e organizzare le testimonianze sulle atrocità compiute dai nazisti
per conto della Sezione Crimini di Guerra dell’Esercito degli Stati Uniti.
Ma nel 1947, finita tale collaborazione, fondò con l’aiuto di trenta volontari
il CENTRO DI DOCUMENTAZIONE STORICO EBRAICO a Linz, in Austria.
Nel 1954 l’Ufficio di Linz chiuse
e tutti i documenti furono consegnati allo Yad Vashem, l’Ente israeliano per la memoria della Shoah, fondato nel 1953.
Tutti tranne uno: il dossier su Adolf Eichmann,
il capo del Dipartimento della Gestapo, organizzatore della soluzione finale.
Eichmann fu scovato in Argentina, sequestrato dai Servizi segreti israeliani, segretamente trasferito in Israele (l’Argentina non prevedeva l’estradizione), processato e condannato a morte. L’esecuzione avvenne il 31 maggio 1961.
Incoraggiato dalla cattura di Eichmann, Wiesenthal riaprì (questa volta a Vienna) il Centro di Documentazione Ebraica e si dedicò alla caccia dei criminali nazisti
(tra questi Karl Silberbauer, l’ufficiale della Gestapo che arrestò Anna Frank), documentandola nel suo libro di memorie “GLI ASSASSINI SONO TRA NOI”.
Oltre Eichmann furono arrestati, grazie al lavoro di Wiesenthal, più di 1.100 criminali di guerra.
Un ex-prigioniero del campo di Mauthausen
(l’ultimo di Wiesenthal prima della liberazione il 5 maggio del ’45), tornato ad essere gioielliere una volta tornato alla vita,
chiese a Wiesenthal:
“Simon,
perché tu non sei più tornato a una vita normale
e ti sei, invece, trasformato in un cacciatore di nazisti?” Wiesenthal rispose:
“Quando raggiungeremo l’altro mondo
e incontreremo i milioni di ebrei morti nei campi e ci chiederanno:
“Cosa avete fatto?”, tu dirai:
“Io sono diventato gioielliere”. Un altro dirà:
“Ho costruito case”. Ma io risponderò:
“Io non vi ho mai dimenticato”.
Wiesenthal è morto a 96 anni nella sua casa di Vienna il 20 settembre 2005.
“MAI DIMENTICHERÒ QUELLA NOTTE”
Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo,
che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò
i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi
trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme
che consumarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno
che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti
che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni,
che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto questo, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso.
MAI.
“LA NOTTE” (Elie Wiesel)
“NON SI ESCE MAI, PER DAVVERO, DAL CREMATORIO”
Tre giorni dopo la liberazione di Buchenwald caddi gravemente ammalato: un’intossicazione.
Fui trasferito all’ospedale e passai due giorni tra la vita e la morte.
Un giorno riuscii ad alzarmi, dopo aver raccolto tutte le mie forze. Volevo vedermi allo specchio che era appeso al muro di fronte: non mi ero più visto dal ghetto.
Dal fondo dello specchio un cadavere mi contemplava.
Il suo sguardo nei miei occhi non mi lascia più.
Non ho mai parlato di queste dolorose vicende con mia moglie e i miei figli
perché sono convinto che non mi avrebbe fatto bene
e avrebbe, invece, caricato loro di un peso inutile e doloroso da portare. Solo recentemente hanno cominciato a scoprire la mia storia.
Ho fatto di tutto per evitare che ne venissero marcati,
ma non potevo certo comportarmi come un padre normale,
che aiuta i suoi figli a fare i compiti e gioca spensierato con loro.
Ho avuto la fortuna
di avere una moglie intelligente che ha saputo gestire tutto questo.
…
Non ho più avuto una vita normale. Tutto mi riporta al campo.
Qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda, il mio spirito torna sempre nello stesso posto.
E’ come se il “lavoro” che ho dovuto fare laggiù non sia mai uscito dalla mia testa.
Non si esce mai, per davvero, dal Crematorio.
“SONDERKOMMANDO AUSCHWITZ” (Shlomo Venezia)
“E, DA QUEL MOMENTO, SONO STATA LIBERA”
“Verso la metà di gennaio del 1945,
all’improvviso fummo obbligati a partire da Auschwitz.
I nostri assassini decisero di far saltare in aria le strutture di morte e di portare via i documenti che attestavano i delitti compiuti.
Ma non fecero in tempo a distruggere tutte le prove, né a evacuare tutti i prigionieri
Le SS ci avviarono a forza sulle strade della Polonia e della Germania:
iniziò la marcia della morte, perché ben pochi sono arrivati a destinazione.
Dopo un anno di prigionia
non eravamo altro che fantasmi che si trascinavano nella neve.
Era la fine di marzo o l’inizio di aprile del 1945 quando arrivai nel lager di Malchow, l’ultimo.
In quei giorni, al campo di Malchow, era la storia a cambiare. Vedemmo i nostri carnefici diventare nervosi:
crudeli come prima, ma per la prima volta agitati.
I due eserciti vincitori arrivavano molto prima del previsto.
Le SS si mescolavano fra noi e si rivestivano in borghese, da “civili”! Li guardavamo sbalordite: “Cosa fanno?”.
Questa gente che aveva messo in ginocchio gli eserciti di mezza Europa, terrorizzando, fino a poco prima, noi, donne inermi,
si spoglia, si mette in mutande!
Ci fu un episodio privato, un momento importantissimo della mia vita:
il comandante di quell’ultimo campo, crudele assassino, camminava vicino a me: si spogliò, rimase in mutande, si rivestì da civile.
Certamente non si accorse della mia presenza, perché io ero ancora “un pezzo”. Quando buttò la pistola ai miei piedi, con tutto l’odio che avevo dentro di me,
io pensai per un istante: “Adesso mi chino, prendo la pistola e lo ammazzo”. Mi ero nutrita a lungo solo di malvagità e di vendetta.
Pensai che sparargli fosse l’azione giusta nel momento giusto: ma fu un attimo.
Un attimo importantissimo, definitivo nella mia vita,
che mi fece capire che io mai, per nessun motivo al mondo avrei potuto uccidere, che l’amore che avevo ricevuto da bambina
mi impediva di diventare uguale a quell’ uomo. Io avevo sempre scelto la vita.
Quando si fa questa scelta non si può togliere la vita a nessuno.
E, da quel momento, sono stata libera”.
“SOPRAVISSUTA AD AUSCHWITZ” (Liliana Segre)
“VOI CHE VIVETE SICURI…”
Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane,
che muore per un SI’ o per un NO.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato: vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore stando in casa, andando per via, coricandovi, alzandovi: ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
“SE QUESTO È UN UOMO” (Primo Levi)